Data: 30/06/2003 - Anno: 9 - Numero: 2 - Pagina: 19 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Mario Ruggero Gallelli (Altri articoli dell'autore)
Negli anni non molto lontani, il rapporto tra maschi e femmine era vissuto in modo molto rigido. Nella scuola rigorosamente separati in classi maschili e femminili; così pure in chiesa, da una parte gli uomini dall’altra le donne. Anche nel gioco i ragazzi non si cimentavano quasi mai con le loro coetanee, perciò sorgeva la necessità d’inventare, finanche, giochi diversificati che spesso provocavano inibizioni psicologiche. Difatti un ragazzo non si sarebbe mai sognato di fare la mamma quando si giocava “cu a papa” (l’attuale bambola). Avrebbe potuto partecipare con il ruolo di marito?!… ragionamento troppo spinto per quei tempi. “A papa”, come quasi tutti gli strumenti di gioco, veniva realizzata dagli stessi fruitori, utilizzando attrezzi e cose che le misere risorse offrivano. Nella fattispecie un grande fazzoletto tipo “stavajuccu” veniva avvolto a salsicciotto e successivamente ripiegato a metà, la parte curva superiore assumeva la forma della testa e poi giù il corpo alla cui vita veniva attorniato e legato un qualsiasi pezzo di stoffa che fungeva da veste, “u fardili” e “a tuvagghia” completavano l’opera. Spettava, poi, alla fantasia delle ragazze sviluppare il gioco. L’esigenza e il desiderio della presenza maschile emergeva prepotentemente, ed allora non mancavano le rassegnate giustificazioni a questa importante assenza. …”Ah cummara, i…duv’è u maritu vostru?”, “ahra Sguizzara, cummara”… “puru u meu esta hra, u vostru quando vena?”, “…a Natala…”. E intanto affiorava un’altra piaga sanguinante di questa amara terra, con le conseguenze sociali che oggi tutti conosciamo.
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